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La scienza, il suono, l'inglese e Lord Ringwood - parte V e ringraziamenti

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La scienza, il suono, l'inglese e Lord Ringwood - parte V e ringraziamenti Empty La scienza, il suono, l'inglese e Lord Ringwood - parte V e ringraziamenti

Messaggio  sir pazu Dom Ott 28, 2012 10:57 pm

- V -



Memorie da un futuro prossimo lontano - ...quasi un Epilogo


«Non sappiamo ancora con certezza né quale sia il meccanismo
matematico con cui descrivere il campo totale nello spazio né a quali leggi
invarianti e generali questo campo totale sia soggetto. Ma una cosa appare certa:
il principio generale di relatività sarà uno strumento indispensabile
ed efficace della soluzione di questo problema del campo totale.»
da Albert Einstein, “Pensieri degli anni difficili” – Boringhieri (1965)

«Alle favole e alle parabole non si pongono domande, né da loro si hanno risposte;
o si ricevono tutte le domande e tutte le risposte.»
Pietro Citati, a proposito del “Flauto magico” di Mozart (1756-1791)


Stoccolma, giovedì 10 dicembre 2099

Il professore non voleva darlo a vedere, ma in realtà era indubitabilmente emozionato.

I fisici avevano inseguito quel risultato per quasi due secoli, instancabilmente, con la stessa lena con cui un archeologo si dedica alla ricerca del Graal. Ed alla fine era stato proprio lui a raggiungere la meta tanto ambita.

Nella hall che introduceva alla grande sala allestita per la premiazione, il caos era totale.

Giornalisti e fotografi cercavano di immortalare i nuovi vincitori del premio Nobel con quanto di più efficace la tecnologia potesse loro offrire, ovvero fotocamere digitali-quantistiche e video a risoluzione fotonica direttamente collegati con le redazioni di appartenenza; i rappresentanti dell’Accademia Reale di Svezia badavano a dare le ultime indicazioni prima dell’arrivo del sovrano; gli uomini del servizio d’ordine radiografavano i presenti con speciali emettitori di campo magnetico in grado di rilevare la presenza in sala di qualunque tipo di arma o di ordigno.

Il professore sapeva che la maggior parte delle riprese e delle attenzioni erano dirette al suo indirizzo, e ciò non lo faceva certo sentire a proprio agio, schivo e riservato com’era. Ma cosa poteva farci?

Ad un certo punto, una giovane donna si diresse verso di lui e lo invitò a seguirla in un corridoio di collegamento non molto distante dalla sala in cui si consumava l’attesa.

«Pamina Benucci, per Rai-Globalsat. Professore, le spiace se le faccio qualche rapida domanda prima della premiazione?»

Per un istante il professore si stupì che la donna si rivolgesse a lui in italiano e non in inglese, come del resto tutti in quel luogo. Un attimo dopo, però, si tranquillizzò riflettendo che entrambi avevano comuni origini italiane.

«E come faccio a dirle di no, signorina! Lei mi ha appena salvato da una vera e propria crisi di panico» - rispose l’uomo con un largo sorriso sul volto.

Raggiunto il punto più riservato del corridoio, la giornalista cercò di sfruttare la ritrovata serenità dell’uomo di scienza - finalmente al riparo dagli strumenti sempre più invadenti della tecnologia – per ottenere qualche informazione esclusiva sulla teoria che stava per consegnarlo alla storia quale vincitore del premio Nobel per la Fisica.

«Allora, professore, che effetto le fa avere avuto la meglio laddove Einstein e molti altri non sono riusciti a proseguire?»

Di fronte a quella domanda, l’uomo arrossì d’imbarazzo, poi rispose con la calma di chi conosce profondamente ciò di cui sta parlando.

«Le dirò, le teorie di “Grande Unificazione” sono state oggetto di studio per noi fisici per quasi due secoli. Penso semplicemente che con le mie ricerche io abbia posto l’ultimo anello ad una catena che era già diventata lunga abbastanza perché tutti ci convincessimo che pensare ad un’Equazione ‘del tutto’, capace di riunire in sé le quattro Forze fondamentali della Natura, senza per questo entrare in conflitto con la 'Teoria della Relatività', fosse un’idea tutt’altro che malsana. Ritengo che il merito del risultato che ho raggiunto sia da condividere senz’altro con tutti coloro, e non sono pochi, che mi hanno preceduto.»

La donna, che a dispetto della tecnologia del suo tempo preferiva ancora prendere appunti su di un piccolo taccuino nero, aveva annotato ogni parola del professore, ed ora si preparava ad incalzarlo con domande più specifiche atte a far luce sugli studi che lo avevano condotto ad elaborare quella che ormai tutti chiamavano l’"Equazione del tutto".

«Professore, non le chiederò quali siano le conseguenze che scaturiscono dalla sua scoperta: capisco che avrà modo di parlarne a lungo nei prossimi giorni. Mi piacerebbe sapere, invece, se è stato l’intuito o qualcos’altro a condurla verso la formulazione dell’Equazione del tutto.»

L’uomo abbozzò un sorriso. In fondo si aspettava una domanda di quel genere, e già pregustava il senso di stupore che avrebbe colto la sua interlocutrice quando lui avesse risposto alla sua domanda.

Inspirò profondamente e le rispose con un’altra domanda.

«Mi dica, che rapporto ha lei con la …Musica?»

La donna rimase un istante spiazzata dalla domanda dello scienziato. Cosa mai poteva c’entrare la musica con l’equazione del tutto?

«Ascolto prevalentemente Rock, Quantum-Music e Colonne Sonore. Qualche volta anche un po’ di Classica, ma solo le cose veramente famose. Mi sta forse dicendo che la musica l’ha accompagnata mentre cercava di mettere a punto la sua Equazione?»

L’uomo scosse leggermente la testa. Il suo sguardo era diventato improvvisamente immobile, ma pur sempre scintillante: stava richiamando alla mente alcuni ricordi, non c’era alcun dubbio.

«L’idea per giungere all’equazione me l’ha data mio nonno, a sua insaputa. Lui era una persona molto fuori dal comune: pensi, insegnava Matematica e Fisica eppure aveva il pallino della letteratura, scriveva di esoterismo e credeva nella reincarnazione e nella chiromanzia, oltre ad essere un profondo studioso degli antichi egizi e delle cattedrali gotiche. Insomma, un uomo di scienza sui generis, glielo assicuro. Era anche un appassionato di Musica, non solo quella che a tutt’oggi si ascolta ai concerti, ma anche quella che all’epoca si riproduceva in casa attraverso gli impianti.

Un giorno mi raccontò di un negoziante, suo amico, che partendo dalle idee di uno sperimentatore inglese era riuscito a mettere a punto un proprio composto chimico in grado di modificare la percezione della musica riprodotta. Mio nonno lo aveva soprannominato “Il Signore dei legnetti”, che in seguito mutò in “Lord Ringwood” su richiesta dell’amico stesso, poiché questo negoziante era solito veicolare il composto in ambiente mediante piccoli oggetti di legno, per lo più in forma di piramidi o dischetti.

All’epoca la cosa colpì molto mio nonno, anche perché, un giorno, decifrando alcuni papiri scoprì casualmente che anche gli antichi egizi, più di tremila anni prima, avevano messo a punto qualcosa di simile per migliorare nettamente la percezione del suono.

Vede, lui mi diceva che gli egizi erano convinti che esistesse una sorta di “gate” all’interno del quale veniva risucchiata la maggior parte delle informazioni sonore. Orbene, pare che per "chiudere" quel gate essi utilizzassero proprio delle sostanze chimiche molto simili a quelle messe a punto dal negoziante amico di mio nonno.»

«Intende forse delle sostanze chimiche in grado di interagire con delle "porte" di collegamento tra universi paralleli, professore? Gli egizi possedevano tali conoscenze?» - intervenne con stupore la donna.

«Sì, è molto probabile signorina. Così come è quasi certo che tali conoscenze gli egizi le abbiano ereditate da una qualche civiltà ancor più evoluta della loro. Ricordo perfettamente le parole pronunciate da mio nonno quando terminò di decifrare i suoi papiri: “Aveva ragione Giorgio De Santillana”, mi disse. “Ciò che sapevano è talmente straordinario che possiamo crederci solo se allo stesso tempo crediamo a quella che De Santillana era solito definire una 'mano informatrice'”

«Si riferisce alla teoria secondo la quale alcune civiltà tra loro geograficamente lontanissime pare condividessero un notevole sapere comune, giusto? Un sapere proveniente da qualcosa di molto più antico, se ricordo bene...» - lo interruppe con interesse la giornalista.

«Proprio così. Il nonno era appassionato di archeo-astronomia ed era convinto che fosse esistita una qualche civiltà antichissima da cui gli egizi, ma anche altri popoli, avessero attinto le loro conoscenze, che le assicuro erano davvero notevoli. Questa tesi, tuttavia, non è mai stata provata con certezza.

Posso solo dirle che i miei studi sull’Equazione del tutto hanno avuto inizio proprio indagando l’esistenza di quello strano gate, rivelatosi poi la chiave di volta per giungere addirittura all’unificazione delle Forze.

Vede, per quasi due secoli, e cioè a partire da quella brillante sintesi elettromagnetica che è stato il trattato sull’elettromagnetismo pubblicato nel 1873 da James Clark Maxwell, ci siamo concentrati soprattutto sul campo elettro-magnetico e sulle due interazioni, forte e debole, del nucleare. Questa, purtroppo, è stata una scelta essenzialmente politica, inutile negarlo.

Così facendo, però, abbiamo trascurato l’unico campo che più di ogni altro interagisce con gli esseri umani fin dal loro concepimento: il campo gravitazionale. E dire che era tutto lì, davanti ai nostri occhi, che pure cercavano la verità altrove!

Se solo penso che una novantina di anni fa qualcuno, partendo da semplici esperimenti volti a migliorare l’ascolto della Musica, altro non faceva che perturbare quel campo a beneficio delle proprie orecchie, giungendo così ad un passo da una delle più importanti scoperte della Fisica…»

L’uomo fece una pausa ad effetto, anche per permettere alla giornalista di appuntare tutto quanto aveva detto. Poi riprese a parlare con rinnovato entusiasmo...

«Ah, signorina Benucci! La scienza è proprio strana. Forse sarebbe il caso di chiedersi se ciò che oggi riteniamo abbastanza generale da costituire una nuova teoria, non sia invece da considerare, a sua volta, solo un frammento di qualcosa di ancor più generale ed imperscrutabile che scopriremo domani. Una sequela di scatole cinesi, insomma, che non sappiamo se mai avrà fine ed eventualmente dove.»

«Affascinante!» - esclamò la donna. «Ma possiamo almeno ritenere che oggi, con l’Equazione del Tutto, sia stato raggiunto il più generale dei risultati possibili?»

Lo scienziato abbozzò un lieve sorriso.

«Una goccia nell’oceano, signorina. Ecco cosa rappresenta, per quanto generale, la mia equazione. Rimangono aperte ancora molte questioni, come può facilmente intuire. Ad esempio, dobbiamo ancora estendere l’Equazione alla Cosmologia per cercare di comprendere una volta per tutte “cosa ci sia là fuori”» – l’uomo indicò un punto immaginario verso il cielo stranamente terso che si stagliava al di là di una finestra lungo il corridoio.

«E, d’altra parte, non dobbiamo neppure perdere di vista le correlazioni che di sicuro esistono con la Meccanica quantistica, il cui sviluppo nel secolo che stiamo per lasciarci alle spalle è stato davvero notevole. Quando riuscissimo a mettere a posto tutto ciò, allora sì, forse avremmo appena fatto capolino “sotto le lenzuola di Dio”, giusto per parafrasare Indro Montanelli, un noto giornalista del secolo scorso che mio nonno in gioventù ha amato molto. E lei crede davvero che tutto ciò sia possibile?»

La donna esplose in una sincera risata, divertita dal paragone portato dal professore.

«Io non ne ho idea. Piuttosto mi piacerebbe conoscere il suo pensiero in proposito.»

L’uomo annuì appena, quindi riprese a parlare.

«Sa cosa disse Einstein nel 1921, quando Dayton Miller si appigliò all’esito di alcuni suoi esperimenti per screditare la "Teoria della Relatività" del grande scienziato? Disse che il “Signore è sottile, ma non malizioso”. Intendeva che spesso la Natura è bizzarra e lo sono anche le leggi della Fisica, ma si tratta di una bizzarria che mai degenera in "perversione": dietro ad ogni evento, infatti, anche il più strano, ogni volta scopriamo un qualche disegno inatteso che sembra condurci verso un ordine superiore.

Negli ultimi anni ho ripensato spesso a questa celebre frase di Einstein, e se i risultati fin qui raggiunti dovrebbero instillarmi un cauto ottimismo, di fatto sono sempre più convinto che non riusciremo mai a sollevare del tutto quelle lenzuola. E forse è giusto così, mi creda. Dio è un po’ come Mozart: insieme all’indovinello ti dà la soluzione, sempre. Solo che, quando la individui, ecco che ti ritrovi dinanzi ad un altro e ancor più interessante indovinello!»

Il professore aveva terminato la frase strizzando un occhio alla giornalista, quando, all’improvviso, in lontananza si udì uno squillo di trombe. Subito dopo, una voce annunciò l’inizio della cerimonia per la consegna dei premi Nobel .

«Mi sa che è giunta l’ora, signorina. Devo fare ritorno nella bolgia dantesca, così abbigliato come un pinguino che ha appena lasciato i ghiacci! Fortuna che ho portato con me un piccolo ricordo del nonno per uscirne “indenne”» - disse l’uomo sorridendo, mentre mostrava alla giornalista una piccola piramide di legno che teneva stretta tra le mani…

Stava per avviarsi, quando la donna lo interruppe per un’ultima domanda.

«Mi perdoni, professore. Indovinerei se scrivessi che desidera dedicare a suo nonno il Nobel che le verrà assegnato a momenti?»

L’uomo ci pensò su un attimo.

«In effetti… lo meriterebbe. Se non altro per avermi rivelato che esiste sempre un punto di contatto tra il rigore delle scienze esatte e la parte più colta dell’Esoterismo, che poi altro non è se non la continua ricerca dell’Assoluto da parte di ogni essere pensante.

Credo, però, che se dedicassi il Nobel solo a mio nonno farei un torto ad almeno altre due persone: lo studioso inglese - che si chiamava, mi pare, Peter William Belt - e quel negoziante di cui le ho raccontato, che purtroppo non ho mai conosciuto.»

Lo scienziato rimase qualche istante a pensare, poi guardò la piccola piramide portafortuna che teneva nella mano destra ed ebbe la stessa espressione di giubilo di chi riesca a risolvere un problema particolarmente spinoso.

«Ecco! Penso che lo dedicherò a chi è ancora in grado di credere nelle imprese impossibili, signorina, un po’ come ho fatto io nel corso dei miei studi, a dispetto della razionalità e di ciò che avrebbero suggerito i paradigmi della scienza ortodossa.

Sì, scriva proprio che lo dedicherò agli “audaci”. Sono sicuro che ne sarebbero felici tutti e tre: mio nonno, l’inglese ed anche quell’impavido di Lord Ringwood!»







Le ragioni di un racconto - ringraziamenti ed altro…

«[…]All’origine della cattedrale vi è il luogo, che è un dono della terra.
Poi vennero tre uomini. Il primo è l’ispirato da Dio. Egli proferisce la dedica
che in lingua sacra, cabalistica, è come il riflesso del Verbo in questo luogo.
Il secondo è un saggio.Egli risolve in Numeri, che sono dei rapporti, le lettere
e le parole della consacrazione. Egli dà il Numero di questo luogo
che è il rapporto tra il luogo e il mondo, e che è la misura.
Il terzo è il maestro di bottega. Per mezzo suo i Numeri diventano rette e curve di
materia, figure e proporzioni di pietra; pesi e slanci di ogive.
Ai saggi: il Verbo; ai sapienti: il Numero; agli operai, l’Armonia risolta in materia.
Per chi è dotto rimane l’analisi; l’ipotesi, il gioco di spirito… Le domande.
Senza dubbio non si può più interpellare il maestro di bottega, ma egli ha lasciato
le risposte inscritte nell’armonia delle pietre. Basta fare le giuste domande, la cathédrale répond.»
da Louis Charpentier, "Les mystères de la cathédrale de Chartres" (1966).



Queste poche pagine non sarebbero mai venute alla luce se non fossi stato incuriosito dagli esperimenti audiofili condotti dal mio concittadino Giuseppe Scardamaglia.

Mi sembra inevitabile, pertanto, ringraziare innanzitutto lui che senza saperlo mi ha fornito una storia da raccontare, facendomi così rimettere mano alla penna - anzi, forse sarebbe meglio dire alla “tastiera” del pc – in qualità di “narratore”, dopo un lungo periodo di riposo.

Giuseppe l’ho conosciuto un ventina di anni fa, quando io ero ancora un adolescente. All’inizio entrai nel suo negozio con l’intenzione di rimanervi solo pochi minuti, poi però finì che vi rimasi fino a sera.

Quando lo vidi, mi bastò notare che portavamo la stessa marca di scarpe – probabilmente eravamo i soli a calzarle nella Palermo di allora - per convincermi che si trattava di una persona estremamente interessante.

Oggi più che mai sono convinto di non essermi sbagliato.

Oltre al protagonista della storia che ho narrato, intendo ringraziare anche i seguenti altri amici: Flavia Radetti dell’Istituto Enciclopedico Italiano, che ha riletto con attenzione queste pagine prima che venissero poste on-line; Sebastiano Ribaudo, che ha atteso con trepidante curiosità che portassi a termine lo scritto; Tullio Amaducci, che mi ha fornito un suo parere sulla descrizione che ho proposto del “Teorema di incompletezza” di Gödel.

Esauriti i ringraziamenti, è necessario che faccia alcune precisazioni.

Dopo aver letto tutto e il contrario di tutto, in ambito audiofilo, sulla reale efficacia dei tweak in genere, e di quelli di cui si parla nel racconto in particolare, volevo mettere in evidenza alcuni limiti della scienza e altrettanti risvolti positivi dell’incertezza.

Lo scopo del capitolo in cui ho parlato di Gödel e Heisenberg, e in cui sono stati affrontati degli argomenti abbastanza “impegnativi”, era proprio questo.

Personalmente, trovo alquanto stupido stroncare una teoria o i presupposti di un esperimento sol perché rappresentano un elemento di rottura con la “tradizione”: anzi, direi che questo è un atteggiamento di chiusura piuttosto che un momento di crescita.

D’altra parte, riconosco pure che si tratta di una reazione tipicamente umana: difficilmente, infatti, siamo pronti ad accettare di buon grado ciò che riconosciamo come un elemento nuovo.

Alla luce di ciò, spero solo di essere riuscito almeno in parte nel mio intento.

* * *
La stesura del prologo, La Musica di Osiride, sebbene di fantasia è storicamente attendibile e le descrizioni sono assolutamente verosimili.

Poche sono le certezze che si hanno sul giorno e sulla causa della morte del giovane faraone Tutankhamen, il cui nome, ahimé, è stato consegnato alla storia più per quella presunta maledizione che si dice abbia colpito l’equipe di archeologi penetrati nella sua tomba che non per la straordinaria ricchezza del corredo funerario rinvenuto praticamente intatto all’interno della stessa.

Studi recenti confermano che il decesso sarebbe avvenuto in un giorno di primavera, probabilmente a causa di un incidente e non per mano di un assassino, come invece sostiene una tesi abbastanza diffusa.

A me è piaciuto immaginare che quel giorno, nel cielo d’Egitto, splendesse Amon-Ra.

Mi pare superfluo ricordare che oggi, senza questa eccezionale scoperta, non sapremmo quasi nulla degli usi e costumi degli antichi egizi. Invito i lettori, pertanto, a ricercare in rete proprio le foto delle “cose meravigliose” – oggi esposte quasi tutte al museo del Cairo - che Howard Carter e Lord Carnarvon (1866-1923) scoprirono all’interno del sepolcro di Tutankhamen nei mesi immediatamente successivi al 4 Novembre del 1922, giorno della localizzazione della tomba.

Il sistro che cito nello scritto era un tipo di strumento “a scuotimento” suonato dagli antichi egizi. Ne è stato ritrovato un esemplare proprio nell’anticamera del sepolcro, insieme ad altri strumenti musicali di ottima fattura.

Sempre all’interno del sepolcro, sono state ritrovate anche le due trombe citate nel testo, una delle quali utilizzata nel 1939 per una storica registrazione eseguita dalla BBC e a tutt’oggi ascoltabile in rete.

Tutto ciò che si legge nel breve saggio Dalla parte dell’incertezza, compreso l’aneddoto relativo a Laplace e Napoleone, è storicamente e scientificamente puntuale.

Anche se si tratta di un campo di mia chiara competenza, non posso escludere tuttavia di aver commesso degli errori - di cui mi assumo eventualmente la completa responsabilità - e ringrazio già d’ora tutti coloro che, rilevandoli, volessero gentilmente segnalarmeli.

Per non tediare i lettori, ho dovuto sintetizzare e semplificare il più possibile il contenuto del “Principio di indeterminazione” di Heisenberg e, soprattutto, il contenuto del “Teorema di incompletezza”: le loro rilevanze concettuali, comunque, mi pare siano state conservate e fanno da sfondo a quanto descrivo nel successivo Provando e riprovando.

Nella parte che porta tale titolo, ho narrato in forma romanzata l’avventura che ha condotto Giuseppe Scardamaglia a mettere a punto i tweak che sappiamo. Inutile chiedersi se le cose siano andate esattamente come le ho esposte: un racconto, per quanto ci si sforzi, è pur sempre soggettivo e mai oggettivo.

Ad ogni modo, quando nella parte successiva, Il vaso di Pandora, faccio riferimento al parere dei tecnici sui legnetti chimicamente trattati, ho riassunto fedelmente il loro punto di vista. Con altrettanta fedeltà direi che ho pure descritto le prove d’ascolto che ho eseguito a casa mia, utilizzando il mio impianto Hi-Fi.

La questione da me sollevata, cioè se i tweak lignei agiscano per migliorare anche la percezione della musica eseguita dal vivo, rimane a tutt’oggi aperta.

Auspico vivamente che vengano eseguite delle prove anche in questo senso: esse potrebbero darci delle utili indicazioni per stabilire se i legnetti interagiscano col campo magnetico prodotto dai diffusori e dalle elettroniche mentre sono in funzione oppure esclusivamente con l’ambiente. In quest’ultimo caso, l’ipotesi di un’interazione col campo gravitazionale sarebbe tutt’altro che romanzata…

Ciò che narro, infine, nell’epilogo: Memorie da un futuro prossimo lontano, ambientato nel 2099, è probabilmente frutto della fantasia.

Proprio così: “probabilmente”.

Gli studi matematici e la lettura di Borges mi hanno insegnato a refutare ogni forma di certezza. E per questo mi hanno reso “libero”.

* * *
Avendo puntualizzato quanto dovevo, non mi resta che avviarmi verso la conclusione.

Queste pagine iniziano narrando un evento luttuoso verificatosi più di 33 secoli or sono in un giorno di primavera, e la loro stesura è stata terminata in un altro giorno di primavera – tutt’altro che luttuoso - in cui la mia mente ha provato a guardare con ottimismo a 90 anni di distanza da oggi.

Credo si tratti di una coincidenza di buon auspicio.

Il 2099 non è lontanissimo, ma neppure dietro l’angolo.

Per allora, nessuno può escludere che si giunga ad elaborare una “Teoria del tutto” che, attraverso una qualche mirabile equazione, sintetizzi e descriva brillantemente le proprietà delle quattro Forze esistenti in Natura, la loro reciproca interazione e, non ultimo, la natura stessa dell’Universo, con conseguenze certamente notevoli sulle attuali conoscenze scientifiche.

Per allora, io non mi sento neppure di escludere che si ritorni a parlare – magari in un contesto scientificamente rivelato – dell’inglese Peter William Belt e di “Lord Ringwood” .


Palermo, Equinozio di primavera dell’anno del Signore 2009...


sir pazu

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